VI (1)

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— Molto piacere, — disse. — Mi chiamo Anton.

Lo stupore sul volto di Haira aumentò.

— Mi dica, per favore, Haira, che lavoro fa?

— Io non lavoro. Sono un guerriero.

— Vede, — disse Anton, — probabilmente lei si sente offeso per la violenza che siamo stati costretti ad usare nei suoi confronti. Ma la prego di non aversela a male. Non avevamo altra via d’uscita.

Il prigioniero appoggiò le braccia sui fianchi, sporse in fuori il labbro inferiore e si mise a guardare oltre Anton. Saul tossicchiò e si mise a tamburellare sul tavolo con le dita.

— Non deve aver paura, — continuò Anton. — Non le faremo nulla di male.

Il volto del prigioniero assunse un’espressione chiaramente altezzosa. Guardatosi intorno, si spostò, andò a sedersi al fianco di Anton e accavallò le gambe. Si sente a suo agio, pensò Anton. È un bene. Vadim, semisdraiato sulla poltrona, osservava la scena con soddisfazione. Saul smise di tamburellare con le dita e cominciò a battere la pipa sul tavolo.

— Vorremmo rivolgerle alcune domande, — continuò Anton in tono più sollevato, — perché ci è indispensabile sapere che cosa stia succedendo qui.

— Marmellata, — proferì Haira con voce sgradevole. — Ed in fretta.

Vadim ridacchiò divertito.

— Such a little pig ![23] — disse.

Anton arrossì e sbirciò Saul. Saul si alzò lentamente. Il suo volto era immobile e annoiato.

— Perché non mi portano la marmellata? — si informò Haira senza rivolgersi a nessuno in particolare. — Adesso sarò io a far domande e voi tenete chiuso il becco. Ed oltre alla marmellata, portatemi anche delle coperte, perché questo sedile è duro.

Subentrò il silenzio. Vadim smise di ridacchiare e guardò con disappunto l’analizzatore.

— Do you think — chiese Anton confuso — we could better bring him some jam ?[24]

Saul, senza rispondere, si avvicinò lentamente al prigioniero. Il prigioniero sedeva impassibile. Saul si rivolse ad Anton.

— You have taken the wrong way, boys , — disse. — It won’t pay with SS-men . — Abbassò lentamente la mano sul collo di Haira. Sul volto di Haira balenò l’inquietudine. — He is a pitekantropos, that’s what he is , — continuò dolcemente Saul. — He mistakes your soft handling for a kind of weakness .[26]

— Saul, Saul! — disse Anton allarmato.

— Speak but English ,[27] — si affrettò ad ammonirlo Saul.

— Dov’è la marmellata? — chiese incerto il prigioniero.

Saul lo rimise in piedi con un violento strappo. Il volto di Haira perse le ultime tracce di impassibilità. Saul cominciò a girare lentamente intorno a lui, fissandolo da capo a piedi. Ma che spettacolo, pensò Anton con disgusto e con involontaria paura. Saul aveva un’espressione tutt’altro che gradevole. Haira, invece, aveva di nuovo incrociato le braccia sul petto e sorrideva servilmente. Saul tornò senza fretta alla sua poltrona e sedette. Haira ora non aveva occhi che per lui. Nella sala regnava il silenzio assoluto.

Saul si mise a caricare la pipa, lanciando di quando in quando a Haira brevi occhiate di traverso.

— Now I interrogate , — disse. — And you don’t interfere. If you choose to talk to me, speak English .[28]

— Agreed ,[29] — disse Vadim e girò una manopola dell’analizzatore. Anton fece un cenno affermativo.

— What did you do to that box? [30] — chiese Saul insospettito.

— Took measares , — rispose Vadim. — We don’t need him to learn English as well, do we? [31]

— O.K. , — disse Saul. Si accese la pipa. Haira lo guardava atterrito, movendo il capo per evitare le zaffate di fumo.

— Nome? — domandò Saul accigliato.

Il prigioniero sussultò e curvò le spalle.

— Haira.

— Che grado hai?

— Quello di portatore di lancia e di guardiano.

— Chi è il tuo capo?

— Kadaira. («Del clan dei turbini», capì Anton.)

— Che grado ha?

— È un portatore di ottima spada e capo del corpo di guardia.

— Quanti guardiani ci sono nel campo?

— Una ventina.

— Quanti uomini ci sono nelle baracche?

— Nelle baracche non ci sono uomini.

Anton e Vadim si scambiarono un’occhiata. Saul proseguì senza cambiare espressione.

— Chi vive nelle baracche?

— I condannati.

— Ed i condannati non sono uomini?

Il volto di Haira espresse una sincera meraviglia. Invece di rispondere, abbozzò un sorrisetto.

— Va bene. Quanti condannati ci sono nel campo?

— Moltissimi. Nessuno li ha mai contati.

— Chi ha mandato qui i condannati?

Il prigioniero parlò a lungo e con tono ispirato, ma Anton capì soltanto:

— Li ha mandati la Grande Rupe Potente, la Battaglia Scintillante, colui che posa un piede nel cielo e che vivrà quanto le macchine.

— Oh, — disse Saul, — conoscono la parola “macchine”…

— No, — si intromise Vadim, — sono io che conosco la parola “macchine”. Lui si riferisce ai veicoli che sono nella conca e sull’autostrada. Quanto alla Grande Rupe con tutto quel che segue, credo che sia un re indigeno.

Il prigioniero ascoltò questo dialogo con un’espressione di sconsolata ottusità.

— Va bene, — disse Saul. — Continuiamo. Qual è la colpa dei condannati?

Il prigioniero si rianimò e di nuovo cominciò a parlare a lungo e molto, e di nuovo Anton capì ben poco.

— Ci sono dei condannati che hanno tentato di usurpare il posto della Rupe Potente, altri che hanno preso oggetti altrui, altri hanno ucciso, altri hanno desiderato strane cose…

— Capito. E chi ha mandato qui i guardiani?

— La Grande Rupe Potente, che posa un piede sulla terra.

— Perché?

Il prigioniero tacque.

— Ti ho chiesto cosa stanno a fare qui i guardiani.

Il prigioniero taceva. Aveva addirittura chiuso gli occhi. Saul sbuffò con aria feroce.

— Allora che cosa fanno i condannati?

Il prigioniero, senza aprire gli occhi, scuoteva la testa.

— Parla! — esplose Saul, facendo sobbalzare Anton.

Commissione per le Relazioni, pensava amaramente, dove sei?

Il prigioniero gemeva lamentoso.

— Se ve lo dico, mi ammazzano.

— Ti ammazziamo noi, se non lo dici, — promise Saul. Tirò fuori dalla tasca un coltello a serramanico e lo fece scattare. Il prigioniero cominciò a tremare.

— Saul! — disse Anton. — Stop it .[32]

Saul si mise a pulire la pipa con il coltello.

— Stop what? [33] — si informò.

— I condannati fanno muovere le macchine, — proferì Haira con un filo di voce. — I guardiani osservano.

— Che cosa osservano?

— Come si muovono le macchine.

Saul prese il disegno e lo mise sotto il naso del prigioniero.

— Spiegami tutto, — ordinò.

Haira parlò a lungo, perdendo spesso il filo, mentre Saul lo correggeva e lo sollecitava. A quanto pareva le autorità locali tentavano di scoprire il modo di guidare le macchine. La ricerca veniva condotta con metodi assolutamente barbari. Ai condannati veniva ordinato di premere le dita sui fori, sui bottoni, sui tasti e sulle varie parti del motore e di guardare che cosa succedeva. Nella maggioranza dei casi non succedeva niente. Spesso le macchine esplodevano. Raramente cominciavano a muoversi, schiacciando e mutilando chi capitava loro a tiro. Infine, in rarissimi casi, si riusciva ad imprimere loro un movimento regolare. Nel corso del lavoro, i guardiani restavano oltre il limite di sicurezza, ed i condannati facevano la spola fra loro e le macchine, per comunicare quali fori e quali bottoni avrebbero premuto. Tutto questo veniva riportato con cura nei disegni.

— Chi fa i disegni?

— Non lo so.

— C’era da aspettarselo. Chi porta i disegni?

— Grandi capi su degli uccelli.

— Intende dire quelle simpatiche bestiole che già conosciamo, — spiegò Vadim. — Si vede che qui li addomesticano.

— A chi servono le macchine?

— Alla Grande Rupe Potente, alla Battaglia Scintillante, a colui che posa un piede nel cielo e vivrà quanto le macchine.

— E che se ne fa delle macchine?

— Chi?

— La Rupe.

Il prigioniero rimase interdetto.

— Si tratta di un titolo, Saul, — disse Vadim. — Lo deve dire per intero.

— Va bene. Che se ne fa delle macchine la Grande Rupe Potente, con un piede sul cielo… o sulla terra? Accidenti a lui, non me lo ricordo… E che vivrà… e che vivrà…

— Quanto le macchine, — suggerì Vadim.

— Che stupidaggine, — brontolò Saul seccato. — Che c’entrano le macchine?

— Si tratta di un titolo, — spiegò Vadim. — Simboleggia l’eternità.

— Vadim, mi faccia un favore. Glielo chieda lei a che gli servono le macchine.

— A chi?

— Ma a quella maledetta rupe!

— Dica semplicemente — disse Vadim — la Grande Rupe Potente.

Saul sbuffò e posò la pipa sul tavolo.

— Allora, che cosa se ne fa delle macchine la Grande Rupe Potente?

— Nessuno sa cosa faccia la Grande Rupe Potente, — rispose con dignità il prigioniero.

Anton non resse e scoppiò a ridere, Vadim gli fece eco, stringendo i braccioli della poltrona. Il prigioniero li guardò esterrefatto.

— Da dove arrivano i disegni?

— Da dietro le montagne.

— Cosa c’è dietro le montagne?

— Il mondo.

— Quanti abitanti ha il mondo?

— Moltissimi. Non è possibile contarli.

— Chi porta le macchine nella conca?

— I prigionieri.

— Da dove?

— Da dove la strada è dura. Lì ci sono moltissime macchine. — Il prigioniero ci pensò su e aggiunse: — È impossibile contarle.

— Chi costruisce le macchine?

Haira sorrise sorpreso.

— Non le costruisce nessuno. Ci sono e basta.

— Ma da dove sono venute?

Haira pronunciò un discorso. Parlando, si soffregava il volto, si lisciava i fianchi, volgeva lo sguardo al soffitto. Strabuzzava gli occhi e a volte si metteva persino a cantare. La storia era pressappoco questa.

Molto tempo prima, quando non era ancora nato nessuno dei viventi, dalla luna rossa erano cadute delle grosse casse. Nelle casse c’era l’acqua, un’acqua densa, rossa e appiccicosa come marmellata. Dapprima quest’acqua aveva costruito una città. Poi aveva scavato in terra due buchi e li aveva riempiti di fumo mortale. Poi l’acqua si era trasformata in una solida strada fra i due buchi e dal fumo erano nate le prime macchine. Da allora un buco generava le macchine e un buco le divorava e sarebbe stato sempre così.

— Ma questo lo sapevamo già, — disse Saul. — E se i condannati non vogliono far muovere le macchine?

— Vengono uccisi.

— Da chi?

— Dai guardiani.
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