III (2)

— Di che si tratta? — disse Vadim. — Che cosa avete subodorato tutti e due?

Saul trasalì.

— Ma certo! — esclamò. — Come ho fatto a non pensarlo subito! È tutto chiaro: abbiamo due buche ad una distanza di ottanta chilometri. Da una buca escono le macchine, percorrono ottanta chilometri su un’ottima autostrada e senza alcun effetto visibile entrano nella seconda buca. Dalla seconda buca attraverso un passaggio sotterraneo tornano alla prima…

Vadim sospirò con aria afflitta.

— No, non tornano nella prima, — disse. — Si tratta di un trasferimento adimensionale, capisce? — Ad ogni parola Saul faceva cenni affermativi col capo. — Un elementare trasporto adimensionale. Qualcuno utilizza questo posto per far percorrere alle macchine le distanze maggiori per la via più breve. Forse migliaia di chilometri, forse migliaia di parsec. Possibile che non sia chiaro?

— Ma no, perché, è tutto chiarissimo! — esclamò Saul. Aveva un’aria un po’ intontita. — Cosa c’è di incomprensibile? Un tipico trasferimento adimensionale…

— Sì, — assentì Vadim. — Ed a noi non interessa affatto. È la gente che dobbiamo cercare!

— Va bene, — disse Anton. — Cercheremo la gente. Torna indietro e segui la traversa.

Vadim girò il bioplano e ritornò indietro lungo la strada.

— Anton, ti senti male? — chiese dopo una pausa.

— Sì, mi sento male, — disse Anton. — Non dimenticare di confermarlo, se te lo chiedono…

— Chi lo deve chiedere?

— Lo chiederanno, — disse Anton. — Ci sarà… gente che si interesserà…

Vadim non insisté, era chiaro che tutto questo non aveva senso. Guardò le macchine in basso e poi il contachilometri.

— Sono degli automi primitivi, — borbottò. — Procedono sempre alla stessa velocità, sempre alla stessa distanza… Valeva la pena di spedirli attraverso il subspazio…

Apparve la strada trasversale.

— Come volo? — chiese Vadim. — Seguo il sentiero o taglio le curve?

— Segui il sentiero, — rispose Anton. — E scendi a bassa quota.

Vadim scese con piacere fin quasi a terra e seguì esattamente la strada. Gli piaceva molto andare veloce con brusche svolte. Di fianco, saltellando sulle asperità, correva sulla neve l’ombra affusolata del bioplano.

— Ecco di nuovo gli uccelli, — disse Saul furioso.

Davanti a loro, proprio sul sentiero, si trovavano alcuni mostri dalle zampe lunghe, simili a quelli visti prima. Scavavano delle fosse e raspavano nella neve smossa. Quando il bioplano si avvicinò, subito si accovacciarono sulle zampe, piegarono indietro i lunghi colli e spalancarono i becchi neri. Dai becchi pendevano dei brandelli.

— Che bestiacce schifose! — disse Saul con ribrezzo. Si girò sul sedile per guardare indietro. — Che cosa staranno disseppellendo?

Vadim capì all’improvviso cosa stessero disseppellendo, ma la cosa gli fece tanto orrore che preferì non credervi.

— Lei, Saul, non ha visto i Tachorg, — disse con allegria forzata. — In confronto ai Tachorg questi non sono che pulcini appena nati. Bisognerebbe ammazzarne uno, vero Anton?

— Sì, si può fare, — disse Anton.

Saul sedeva dritto.

— Non mi piace che stiano là a scavare, — disse cupo.

Nessuno rispose. Volarono in silenzio ancora per una decina di minuti. La neve sul sentiero era di uno schifoso color letame. Vi si vedevano delle tracce che non erano né di cingoli né di ruote, e a destra e a sinistra, sulla superficie innevata a tratti, si stendevano lunghe file di orme umane. Le colline tondeggianti che lo fiancheggiavano erano deserte. Qua e là dai cumuli di neve spuntavano esili arbusti e nere radici contorte, che sembravano mani adunche.

— Eccone un altro, — disse Saul.

Sulla sommità di una collina stava un uccello. Notato il bioplano, si slanciò impetuosamente in avanti, per tagliare loro la strada. Correva, agitando vertiginosamente le zampe, teneva aperte le piccole ali, tendeva il collo magro e con il becco quasi sfiorava la neve. Il piccolo occhio ardente fissava il bioplano.

— Non farà in tempo! — esclamò dispiaciuto Vadim.

Ma l’uccello fece in tempo. — Forza! — gridò Vadim soddisfatto. Il bioplano si scosse. Nell’aria volteggiò una zampa dagli artigli protesi. Anton e Saul si voltarono all’istante.

— Sta ancora ruzzolando! — comunicò Saul. — Un animale schifoso come pochi… Ma guarda… — esclamò meravigliato.

Vadim accese subito lo schermo retrovisore posteriore. L’uccello caduto si era già rimesso in piedi e, zoppicando, correva dietro al bioplano. Aveva l’aria furiosa. Presto rimase indietro e sparì dietro la curva.

— Se incontreremo della gente, — disse Vadim, — proporrò di sterminare queste bestiacce in tutta la vallata. Visto che da soli non ce la fanno… Che ne pensi, Toška?

— Si vedrà, — disse Anton.



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