V

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— È finita, amici! Adesso tornerete a casa!

Procedendo verso la slitta, si preparò a scansare la picca. L’uomo impellicciato si era messo in ginocchio e lo guardava con paura e stupore, reggendo la picca a bilanciere.

— Vieni, — gli disse Vadim, afferrando l’asta di legno.

L’uomo in pelliccia lasciò subito la picca ed estrasse una spada balzando in piedi.

— Ma no, sta’ calmo, — disse Vadim, gettando lontano la picca.

Improvvisamente l’impellicciato emise uno dei soliti urli, lunghi e lamentosi. Vadim lo afferrò per la mano che reggeva la spada, e lo tirò a sé. Si sentiva molto a disagio. L’impellicciato cercò di liberarsi, e Vadim lo afferrò più saldamente.

— Su, su, tutto andrà bene. Andrà tutto a posto, — diceva in tono persuasivo, distendendogli le dita sudate che stringevano l’elsa. La spada cadde nella neve. Vadim prese l’impellicciato per le spalle e lo condusse verso il bioplano, borbottando parole cortesi e sforzandosi di imitare la cadenza locale. Risuonò un grido di avvertimento di Saul e subito Vadim si sentì assalito. Mani deboli e tremanti lo afferrarono per il collo e per le gambe.

— Ma che siete ammattiti? — berciò Saul con rabbia. — Anton, li fermi!

L’impellicciato tornò di nuovo a divincolarsi con forza. Buttarono in testa a Vadim uno straccio fetido, ed egli non vide più nulla. Si reggeva a stento nel groviglio dei corpi, e abbrancava con tutte le sue forze l’uomo in pefficcia. Poi sentì una fitta acuta ad un fianco. Lasciò il suo prigioniero, scrollò le spalle e, liberatosi dagli assalitori, si strappò dalla testa il sacco maleodorante. Vide gli uomini sparsi sulla neve ed Anton che avanzava verso di lui, scavalcandoli. Si voltò e si trovò di fronte a un uomo nudo che brandiva la spada.

— Ma perché? — disse Vadim.

L’uomo gli assestò un colpo, ma non riuscì a tener dritta la spada, e diede a Vadim una piattonata su una spalla. Vadim gli diede una spinta, quello cadde nella neve e rimase immobile. Vadim raccolse la spada e, alzato il braccio, la gettò lontano. Si sentiva scorrere su un fianco qualcosa di caldo e umido. Si guardò intorno.

Gli uomini nella neve giacevano immobili, come morti. L’impellicciata era scomparso.

— Sei vivo? — gridò Anton ansimando.

— Vivissimo, — rispose Vadim. — Ma dov’è il prigioniero?

Vide Saul che avanzava verso di loro a grandi passi, trascinando per il bavero l’uomo in pelliccia.

— Voleva scappare! — annunciò. — Ma avete visto che razza di gente!

— Andiamocene via, — disse Anton.

Si avviarono verso il bioplano, scavalcando con cautela i corpi immobili. Saul tirò per il bavero il prigioniero, rimettendolo in piedi, e lo fece camminare spingendolo per la schiena.

— Cammina, carogna! — gli ordinò. — Avanti, grassone! Puzza da asfissiare, — annunciò. — Sarà un anno che non si lava.

Quando arrivarono al bioplano, Anton prese il prigioniero per una spalla e gli indicò la cabina. Quello scosse la testa con un gesto disperato, tanto che gli cadde il berretto. Poi si mise a sedere sulla neve.

— Credi che staremo a fare complimenti! — urlò Saul.

Sollevò il prigioniero per la pelliccia e lo scaricò oltre l’orlo dell’oblò. Il prigioniero cadde fragorosamente sul pavimento della cabina e non si mosse più.

— Puah, — disse Anton, — che razza di lavoro!

Prese i due zaini che stavano accanto al bioplano, e li trascinò fino alla slitta. Aprì lo zaino, tirò fuori tutti gli abiti e li dispose sulla neve. Fece lo stesso con le cibarie. Gli uomini parevano morti e solo piano piano ritiravano le gambe quando Anton passava vicino.

Vadim stava appoggiato stancamente ad una fiancata tiepida dell’apparecchio e guardava la neve sconvolta, la slitta rovesciata, i corpi contorti sotto la luce della luna. Senti Anton che diceva con voce tetra:

— Commissione per le Relazioni, dove sei?

Vadim si toccò il fianco. Il sangue scorreva ancora. Si sentì percorrere da un’ondata di debolezza e sofferenza ed entrò in cabina. Era andato tutto storto, tutto sbagliato. Il prigioniero giaceva bocconi, cingendosi la testa con le mani. A quanto pare si aspettava la morte e forse anche la tortura. Su di lui torreggiava Saul, che seguiva con aria feroce ogni suo movimento. Rientrò Anton e si infilò anche lui nella cabina.

— Che hai? — chiese.

Vadim parlava con difficoltà:

— Sai Toška, mi hanno ferito. Ora non sono più in grado di far niente.

Anton lo fissò per qualche secondo.

— Su, dài, spogliati, — ordinò.

— Bah! — brontolò con rabbia Saul.

Vadim si sbottonò il giubbotto. Aveva le vertigini e di quando in quando la vista gli si oscurava. Vide la faccia concentrata di Anton e la faccia addolorata di Saul. Poi sentì delle dita fredde che gli palpavano il fianco.

— L’ha accoltellato, — disse Saul. La sua voce pareva giungere da un’altra stanza. — Lei non ci ha proprio saputo fare. Io l’avrei preso con una mano sola.

— Non è stato lui, — balbettò Vadim. — È stato un altro… Un uomo nudo…

— Un uomo nudo? — disse Saul. — Questo non lo capisco nemmeno io.

Anton rispose qualcosa ma davanti agli occhi di Vadim guizzavano barbagli e cerchi luminosi ed egli perse i sensi.


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