II

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Anton aguzzò lo sguardo. Saul sedeva sulla sua cartella, messa verticalmente, e fumava una lunga pipa nera. Aveva un’aria distratta e bonaria.

— Non si sente male? — chiese Anton, indietreggiò e sedette sul divano.

— Niente affatto. Allora, si può uscire?

— Prego, — disse Anton.

Saul si alzò, prese la cartella e, chinandosi, uscì dalla camera.

— Siamo quasi in zona, — disse Anton. — Rimane solo da scegliere il pianeta e decidere dove sbarcare.

Saul sedette accanto a lui.

— Siamo lontani dalla Terra? — chiese.

— Centocinquanta parsec. Quasi al limite, per la nostra navicella.

Vadim berciò dalla sua cabina.

— Saul! Esiga un pianeta simile alla Terra! Non le piacerebbe mettersi lo scafandro e la maschera ad ossigeno. Potrebbe andare…

Anton si alzò e chiuse bene la porta.

— Per me va bene qualsiasi pianeta, — disse piano Saul. — Ma, naturalmente, sarebbe meglio uno dove si possa respirare. — Anton lo guardò attentamente. — Ma la cosa più importante è che non ci sia nessuno…

— Facciamo così, Saul, — disse Anton. — Le troveremo un pianeta. È facilissimo. Abbiamo a bordo una cupola abitabile per sei persone, abbiamo un bioplano, riserve di cibo per iniziare un ciclo e una buona ricetrasmittente. La aiuteremo a sistemarsi e ce ne andremo. Va bene?

Saul sedeva a capo chino.

— Sì, — disse rauco. — Così andrà bene. Sicuro.

— Bene, allora, — Anton spinse la porta, — vado nella cabina di pilotaggio, e lei… se ne ha voglia, venga anche lei.

Nella cabina di pilotaggio, Anton accese il catalogo di bordo e scorse le informazioni relative al sistema EN 7031. Le informazioni erano poco interessanti. Intorno alla nana gialla ruotavano quattro pianeti e due fasce di asteroidi. Quello più adatto a loro era il secondo pianeta: era simile alla Terra e si trovava alla distanza di un’unità astronomica e mezza dal suo sole. Anton diede l’effemeride al pilota cibernetico.

Dal quadrato giunsero delle voci.

— Come ha sopportato il passaggio, Saul?

— Quale passaggio? Non ho notato nessun passaggio.

— Proprio come pensavo.

— Come?

— Che non se ne sarebbe accorto. Vuole fare una doccia?

— No. C’è ancora molto?

— Probabilmente no. Sente? La navicella oscilla e il pavimento ondeggia sotto i piedi. Si sta mettendo in orbita. Andiamo nella cabina di pilotaggio?

— Ma non daremo fastidio?

— Certo che no. Siamo turisti. Su un’astronave da sbarco o di linea non ci farebbero entrare… Perché porta con sé la cartella?

— Mi è cara…

— Allora non la metta sul coperchio del condotto per l’immondizia.

Anton osservava attentamente l’immagine del pianeta sullo schermo di osservazione. Il pianeta era azzurro, come la Terra, coperto da una bianca coltre di nuvole, ma i contorni dei continenti erano diversi. Uno, il più grande, si stendeva lungo l’equatore; l’altro, un po’ più piccolo, arrivava fino al polo.

— Ecco il suo pianeta, Saul, — disse Anton e prese il foglio appena uscito dal terminale dell’analizzatore. — Un ottimo pianeta. Non c’è compressione. Le giornate sono di ventotto ore, la massa è pari al 110 % di quella terrestre. Non ci sono gas venefici. Molto ossigeno. Poca anidride carbonica, ma non si deve preoccupare.

Fissò Saul. Saul guardava il suo pianeta con una strana espressione. Le sopracciglia cespugliose si inarcarono. Sembrava che stesse lì lì per piangere. Anton era commosso.

— Compagni! — disse all’improvviso Vadim. — Diamo a questo pianeta il nome di Saul.

— Sia chiamato Saul! — disse Anton.

Tirò a sé il microfono del diario di bordo e dettò:

— Giorno giuliano 25-42-967. Il secondo pianeta del sistema EN 7031 viene chiamato Saul, in onore dello storico Saul Repnin, membro dell’equipaggio.

Tutto questo non aveva proprio nessun significato. Ai pianeti venivano dati i nomi di astronavi e di città, degli eroi letterari preferiti, di oggetti o semplicemente combinazioni fonetiche che suonavano bene. E chi non aveva abbastanza fantasia, prendeva un libro qualsiasi, lo apriva a una pagina qualsiasi, sceglieva una parola qualsiasi e la modificava a suo gusto. E allora veniva fuori qualcosa tipo Risolina, Rissaiolo o Palpebro.

Ma Saul ne fu incredibilmente colpito. Borbottò: «Grazie, grazie, amici», e strinse la mano di Vadim. Fu una cosa molto commovente.

Nel frattempo il pianeta diventava sempre più grande. Quando sullo schermo rimase solo il continente che si stendeva lungo l’equatore, Anton chiese:

— Allora, dove vuole scendere, Saul?

Saul indicò con il dito quasi il centro del pianeta. Ad Anton parve che lo facesse socchiudendo gli occhi.

— Compagni, — disse lentamente Vadim, — sarebbe meglio vicino al mare.

Era chiaro che aveva voglia di farsi un bagno. Nuotare nell’oceano di Saul, in onde che non avevano ancora mai bagnato un terrestre, che, forse, non avevano mai bagnato nessun essere vivente.

— V-va bene… atterriamo vicino alla costa, — disse incerto Saul. Guardò Anton. — Per i miei scopi, — tossicchiò, — la scelta del posto non è importante.

— Magnifico! — disse Vadim. Sedette svelto nella poltrona accanto a quella di Anton. — Basta! — annunciò. — Al capitano è venuta una paralisi, ed è stato portato in cabina in cattive condizioni. Il robusto e statuario secondo pilota ha preso il comando. — Appoggiò le dita sul contatto del pilota automatico, e la navicella perse subito quota. Il continente sullo schermo cominciò a contorcersi vertiginosamente. Vadim declamò:

Vedo tremar come un foglio bagnato
Ogni dispositivo aeronavale
Se il biocomando viene manovrato
Da me, superlinguista strutturale.

Saul fece cadere rumorosamente la cartella e si aggrappò alle spalle di Anton.

— Dimka, di’ almeno dov’è che sei diretto, — chiese Anton.

— Là, — rispose vago Vadim. — Dove le onde blu lambiscono la sabbia.

L’astronave si inclinò verso destra.

— Piano, piano, — disse Anton. — Sta’ calmo. Così finisci sulla terraferma.

— Sta’ a vedere.

— Frena! Guarda dove ti vai a cacciare!

— Vedo tutto.

— Oh, ci fai fare un bel capitombolo, disse Anton.

— Niente paura, niente paura, — ripeteva Vadim.

Lo schermo si oscurò. L’astronave era entrata nell’atmosfera. Divampò e scomparve fra le nubi dense un arcobaleno. Baluginarono delle macchie bianche e nere.

— Il vento ci sposta, — osservò Anton.

— Lo so…

— Stai perdendo il controllo dell’astronave!

Vadim disse in fretta:

— Smettila di dare ordini o non sono più tuo amico.

— Vadim, cerchi di non fallire il bersaglio, — disse allarmato Saul.

Il carosello sullo schermo cessò. Si avvicinò in fretta una distesa bianca, poi lo schermo si oscurò e si spense. L’astronave sobbalzò.

— Finito tutto, — disse Vadim. Si stiracchiò, facendo scrocchiare le dita.

— Cosa tutto? — chiese Saul. — Ci siamo fracassati?

— Siamo atterrati, — disse Anton. — Benvenuti su Saul.

— Però, lei guida proprio come un matto, — disse Saul a Vadim.

— Proprio vero, — concordò Anton. — Sai di quanto hai mancato il bersaglio, Dimka? Di un duecento chilometri. Ma hai fatto in tempo a spegnere lo schermo, bravo.

— Per abitudine, — disse Vadim noncurante.

Anton si alzò.

— A proposito, che cos’è questa storia del “foglio bagnato che trema”? — chiese.

Anche Vadim si alzò.

— Questa, Toška, è una storia un po’ misteriosa. Esiste una antica espressione idiomatica, «tremare come un foglio bagnato». Un foglio bagnato è una specie di braciere. Lo mettevano sul pavimento dei bagni, e quando aumentavano il vapore, cioè versavano acqua nel braciere, il foglio metallico rovente cominciava a vibrare.

Saul scoppiò inaspettatamente a ridere. Rideva forte e di gusto, asciugandosi le lacrime col palmo della mano e pestando a terra con gli stivali. Né Anton, né Vadim capirono il perché, ma dopo qualche minuto ridevano anche loro.

— Un’usanza divertente, vero? — disse Vadim, riprendendo fiato.

— Davvero, Saul, perché ride? — chiese Anton.

— Oh! — disse Saul. — Sono così contento di essere arrivato sul mio pianeta…

Vadim smise di ridere.

— In fin dei conti non sono mica uno slavista, — disse con dignità. — La mia specialità è l’analisi strutturale.

— Va bene, — disse Anton, — scendiamo a terra.

Uscirono tutti dalla cabina di piotaggio. Vadim, trattenendo Saul per il gomito, disse:

— Non è una mia deduzione. È l’ipotesi più diffusa.

— Non ha importanza, non ha importanza, — rispose in fretta Saul. Si fece serio. — Questa sua ipotesi è talmente lontana dalla verità, che non ho potuto trattenermi. Se l’ho offesa, mi scusi…

— E qual è la sua idea?

Saul disse irritato:

— Non esiste l’espressione: «tremare come un foglio bagnato». Esistono le espressioni: «tremare come una foglia» e «stracciarsi come un foglio bagnato». Ma come si fa a stracciare un foglio di metallo, bagnato o no? È ridicolo!

Anton aveva aperto la membrana dell’oblò. Un’aria gelida sferzò l’astronave. Saul spinse da parte Vadim e gridò:

— Aspettate! Fatemi passare, per favore!

Anton, che già stava col piede sulla soglia, si fermò. Saul, tenendo lo skorcer sopra la testa, si slanciò avanti.

— Vuole scendere per primo? — chiese Anton sorridendo.

— Sì, — borbottò Saul, — è meglio.

Si infilò nello stretto oblò e si fermò, bloccando l’uscita. Anton, che si era infilato dietro di lui, lo spingeva con la testa.

— Avanti, Saul, — disse.

Saul pareva pietrificato. Da dietro, Vadim tamburellava nervosamente sulla schiena curva di Anton.

— Ci faccia passare, Saul, — chiese Anton.

Saul finalmente si fece da parte e Anton uscì all’aperto. Tutt’intorno c’era la neve. E altra neve cadeva a grossi fiocchi pigri. La navicella si trovava in mezzo a colline rotonde tutte uguali, che si notavano appena nella pianura bianca. Dalla neve spuntavano fuori l’erbetta corta di un verde pallido e molti fiorellini azzurri e rossi. Ma, a dieci metri dall’oblò, giaceva un uomo che la neve andava lentamente ricoprendo.
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