3 giugno dell’anno 78. Di nuovo Maja Glumova

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Mi alzai, andai in cucina e le portai un bicchier d’acqua. Bevve avidamente fino in fondo, versandosi l’acqua sul vestito grigio.

— Non riguarda nessuno, — disse, restituendomi il bicchiere.

— Non parli di quello che non riguarda nessuno, — dissi, sedendomi. — Che cosa le ha domandato?

— Gliel’ho già detto: non mi ha domandato niente! Ha raccontato, ricordato, disegnato, litigato… come un ragazzino! A quanto pare, ricorda tutto! Quasi ogni giorno! Dove era lui, dove ero io, che cosa ha detto Rex, come guardava Wolf… Io non ricordavo niente, e lui mi ha sgridato e mi ha costretta a ricordare, e ho ricordato… E come è stato contento, quando mi sono ricordata qualcosa che nemmeno lui ricordava!

Tacque.

— Sempre sull’infanzia? — chiesi, in attesa.

— Ma certo! Gliel’ho già detto, non riguarda nessuno, solo me e lui!.. Era come pazzo… Non ce la facevo più, mi si chiudevano gli occhi, e lui mi svegliava e mi gridava all’orecchio: «E quella volta chi è caduto dall’altalena?». E se me lo ricordavo, mi prendeva per la vita, correva con me per la casa e gridava: «Giusto, è andata proprio così, giusto!».

— E non le ha chiesto dell’insegnante, dei compagni di scuola?

— Ora le spiego: non ha fatto domande su niente e su nessuno Lo vuoi capire? Lui ha raccontato, ricordato, e pretendeva che anch’io ricordassi…

— Sì, capisco, capisco, dissi. — E che cosa si proponeva di fare, secondo lei?

Mi fissò come se fossi il giornalista Kammerer.

— Lei non capisce proprio niente.

E nel complesso, certo, aveva ragione lei. Avevo avuto le risposte alle domande di Sua Eccellenza: ad Abalkin NON interessava il lavoro di Maja Glumova; Abalkin NON intendeva usarla per intrufolarsi nel museo. Ma veramente non riuscivo a capire che scopo avesse Abalkin ad organizzarsi queste ventiquattro ore di ricordi. Sentimentalità… omaggio ad un antico amore… ritorno all’infanzia… Non ci credevo. Il fine era pratico, ponderato bene in anticipo, e Abalkin lo aveva raggiunto senza suscitare nella Glumova alcun sospetto. Era chiaro che la stessa Glumova non ne sapeva niente. Nemmeno lei aveva capito di che cosa si trattasse…

E mi rimaneva ancora un punto da chiarire. Va bene. Avevano ricordato, si erano amati, avevano bevuto, di nuovo avevano ricordato, si erano addormentati, si erano svegliati, di nuovo si erano amati e di nuovo si erano addormentati… Ma allora perché lei si era così disperata, ai limiti dell’isterismo? A questo punto, c’è spazio per le più varie supposizioni, per esempio quelle legate alle abitudini dell’ufficiale di Stato Maggiore dell’Impero Insulare. Ma poteva anche trattarsi di qualcos’altro. E questo qualcos’altro avrebbe potuto essere molto prezioso per me. Qui mi fermai indeciso: o lasciare nell’ombra qualcosa che, forse, era molto importante, oppure decidermi ad un’odiosa mancanza di tatto, rischiando di non venire a sapere niente di essenziale…

Mi decisi.

— Maja Tojvovna, — dissi, cercando con tutte le mie forze di pronunciare le parole con durezza, — mi dica: che cosa ha provocato quella disperazione di cui sono stato involontario testimone durante il nostro primo incontro?

Pronunciai questa frase senza avere il coraggio di guardarla negli occhi. Non mi sarei meravigliato se a questo punto mi avesse ordinato di levarmi dai piedi o mi avesse semplicemente sbattuto il videofono in testa. Tuttavia, non fece né l’una né l’altra cosa,

— Sono stata una sciocca, — disse in tono abbastanza calmo. — Una sciocca isterica. Allora avevo avuto l’impressione che lui mi avesse strizzata come un limone e gettata via. Ora invece capisco: ha altro per la testa. Per la delicatezza non gli rimane né il tempo né la forza, Mi aspettavo una spiegazione da lui, ma lui non poteva spiegarmi niente. Lui sa probabilmente che lei lo sta cercando…

Mi alzai.

— Mille grazie, Maja Tojvovna, — dissi. — Secondo me, lei ha frainteso le nostre intenzioni. Nessuno vuoi fargli del male. Se dovesse incontrarlo, cerchi, per favore, di farglielo capire.

Lei non rispose.


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