Dal rapporto di Lev Abalkin (operazione “Mondo morto”) (1)

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Mi rendo conto che mi sta prendendo per qualcun altro. Per ora, forse, è la cosa migliore. Solo bisogna stare molto, molto attenti…

— Non capisce nulla, — dice il vecchio. — È molto strano… Davvero da voi non è successo niente del genere?

— No, — rispondo. — Non è successo.

Il vecchio se ne esce all’improvviso con una lunga frase, a cui il traduttore risponde lentamente: «Lingua sconosciuta».

— Non capisco, — dico.

— Non capisce… Eppure mi pareva di non parlar male la lingua di Transmontania.

— Non vengo da lì, — ribatto. — Non ci sono mai stato.

— Da dove viene?

Prendo una decisione.

— Per ora non ha importanza, — dico. — Non parliamo di noi. Da noi va tutto bene. Non abbiamo bisogno di aiuto. Parliamo di voi. Ho capito poco, ma una cosa è evidente: avete bisogno di aiuto. Di quale aiuto, precisamente? Di che cosa avete bisogno per prima cosa? E che cosa sta succedendo qui? Ecco quello di cui ora dobbiamo parlare. Sediamoci, è tutto il giorno che sto in piedi. Possiamo trovare un posto dove sederci a parlare tranquillamente?

Per un po’ mi scruta in viso in silenzio.

— Non vuole dire da dove viene… — esclama alla fine. — Va bene, è un suo diritto. Lei è più forte. Però è una sciocchezza. Tanto io so: lei viene dall’Arcipelago del Nord. Non vi hanno toccato solo perché non si sono accorti di voi. Avete avuto fortuna. Ma vorrei chiederle: dove eravate, quando ci facevano marcire vivi?

— Non siete i soli a cui sia capitata una disgrazia, — ribatto con sincerità. — Solo, ora è il vostro turno.

— Che bellezza! — dice. — Andiamo a sederci e parliamo.

Entriamo nell’androne della casa di fronte, saliamo al primo piano e ci ritroviamo in una stanza sporca, dove ci sono solo: un tavolo al centro, un enorme divano alla parete e due sgabelli accanto alla finestra. Le finestre danno sulla piazza, e la stanza è illuminata dalla luce bianco-azzurra del padiglione. Sul divano c’è qualcuno che dorme avvoltolato in un cappotto lustro. Sul tavolo ci sono dei barattoli di conserve e una grande borraccia metallica.

Appena entrato nella stanza, il vecchio si mette a far ordine. Fa alzare quello che dorme e lo caccia via di casa. Uno degli accigliati giovanotti riceve l’ordine di fare la guardia e si mette sullo sgabello accanto alla finestra, dove poi rimane seduto tutto il tempo, senza perder mai d’occhio la piazza. Il secondo giovanotto accigliato apre abilmente i barattoli di conserve, e poi si mette accanto alla porta, appoggiandosi con la schiena allo stipite.

Vengo invitato a sedermi sul divano, poi avvicinano il tavolo e vi dispongono sopra i barattoli. Nella borraccia c’è acqua comune, abbastanza pulita, che sa però di ferro. Anche S&kn non viene dimenticato. Il soldato che è stato sbattuto giù dal divano gli mette davanti, sul pavimento, un barattolo aperto. Ščekn non rifiuta. Per la verità, non mangia le conserve, ma va alla porta e, previdente, si mette accanto alla sentinella. Poi si gratta con cura, bofonchia, si lecca, per farsi credere un cane comune.

Intanto il vecchio prende l’altro sgabello, si siede di fronte a me e comincia il colloquio.

Prima di tutto il vecchio si presenta. Naturalmente è un pezzo grosso, e non un pezzo grosso qualunque, ma un dirigente, qualcosa del tipo «governatore di tutto il territorio e delle regioni annesse». Sotto la sua giurisdizione si trovano tutta la città, il porto ed una dozzina di tribù, che vivono nel raggio di cinquanta chilometri. Che cosa avviene al di là dei confini di quest’area lui lo sa poco, ma immagina che sia più o meno lo stesso. Il numero complessivo di abitanti della sua regione ora non è più di cinquemila persone. Nella regione non esiste industria, e nemmeno una parvenza di agricoltura organizzata. C’è, è vero, un laboratorio in periferia. Un buon laboratorio, un tempo uno dei migliori del mondo, e lo dirige a tutt’oggi Draudan in persona («… strano che lei non ne abbia sentito parlare… anche lui ha avuto fortuna. È longevo come me…»), ma là non sono arrivati a nulla in questi quaranta anni. Ed è chiaro che non combineranno nulla.

— E perciò, — conclude il vecchio, — non continuiamo a girare intorno alle cose, e non mettiamoci a contrattare. Pongo solo una condizione: se possono esser curati, allora che lo siano tutti. Senza eccezione. Se questa condizione vi sta bene, tutto il resto potete stabilirlo voi. Come volete. Accetto senza discutere. Se no, allora è meglio che ci lasciate in pace. Certo, noi periremo tutti, ma anche voi non avrete pace fintanto che uno di noi sarà ancora vivo.

Taccio. Aspetto ancora che il Quartier Generale mi suggerisca qualcosa. Ma anche lì pare che non ci capiscano nulla.

— Vorrei ricordarle — dico alla fine — che continuo a non capire che cosa succeda qui.

— Allora faccia delle domande! — esclama brusco il vecchio.

— Lei ha detto: curare. Qui c’è un’epidemia?

La faccia del vecchio si fa di pietra. Mi fissa a lungo negli occhi, e poi estenuato si appoggia con i gomiti sul tavolo e si strofina con le dita la fronte.

— Gliel’ho già detto: non giri intorno alla questione. Non abbiamo intenzione di contrattare. Dica in modo chiaro e semplice: avete una medicina? Se l’avete, dettate pure le condizioni. Se no, non abbiamo niente da dirci.

— Così non faremo un passo avanti, — dico. — Partiamo invece dal presupposto che io non sappia assolutamente nulla. Sono stato in letargo per quaranta anni, per esempio. Non so che malattia avete, non so che medicina vi serve…

— E anche dell’Invasione non sa nulla? — chiede il vecchio, senza aprire gli occhi.

— Quasi niente.

— E del Rapimento Generale non sa niente?

— Quasi niente. So che se ne sono andati tutti. So che vi sono coinvolti in qualche modo dei forestieri venuti dallo spazio. Niente altro.

— Fo-re-stie-ri… dallo Spa-zio… — ripete con difficoltà il vecchio in russo.

— Uomini venuti dalla Luna… dal cielo… — dico.

Digrigna i forti denti giallastri.

— Né dal cielo e né dalla Luna. Da sottoterra! — dice. — Allora, qualche cosa la sa…

— Ho attraversato la città. E ho visto molto.

— E da voi non è successo proprio nulla? Nulla?

— Non c’è mai stato niente di simile, — affermo deciso.

— E non si è accorto di niente? Non si è accorto della fine dell’umanità? La smetta di mentire! Che cosa si propone di ottenere con queste menzogne?

— Lev! — mi sussurra sotto il casco la voce di Komov. — Fai la parte del cretino!

— Sono un subalterno, — annuncio seccamente. — So solo quello che mi spetta sapere! Faccio solo quello che mi viene ordinato di fare! Se mi ordinano di mentire, mento, ma ora non mi è stato dato nessun ordine del genere.

— E quale ordine le è stato dato?

— Fare una perlustrazione nella sua regione e comunicare tutte le circostanze.

— Che sciocchezza! — esclama con stanco disprezzo il vecchio. — Va bene. Facciamo come vuole lei. Chissà perché vuole che le racconti cose che già sa… Va bene. Stia a sentire.

Pare che colpevole di tutto fosse la razza di schifosi Non-uomini, che si era sviluppata e moltiplicata nelle viscere del pianeta. Quattro decenni prima questa razza aveva dato inizio all’invasione della popolazione locale. L’invasione iniziò con una pandemia senza precedenti, che i Non-uomini diffusero contemporaneamente su tutto il pianeta. Finora non erano ancora riusciti ad identificare il microbo della pandemia. I sintomi della malattia erano questi: a cominciare dall’età di dodici anni, bambini assolutamente normali cominciavano ad invecchiare velocemente. Il tempo di sviluppo dell’organismo umano fino al raggiungimento del punto critico di accrescimento aumentava in progressione geometrica. Ragazzi e ragazze di sedici anni sembravano dei quarantenni, a diciotto anni cominciava la vecchiaia, e pochissimi erano quelli che arrivavano ai vent’anni.

La pandemia infuriava da tre anni, quando i Non-uomini per la prima volta resero nota la loro esistenza. Proposero a tutti i governi di organizzare il trasferimento della popolazione nel “mondo confinante”, cioè da loro, nelle viscere della Terra. Promisero che là, nel mondo confinante, la pandemia sarebbe scomparsa da sola, e allora milioni di persone spaventate si precipitarono in pozzi speciali da dove, ovviamente, nessuno era più tornato. Così, quaranta anni prima, era perita la civiltà locale.

Certo, non tutti credettero e non tutti si spaventarono. Rimasero intere famiglie e gruppi di famiglie, intere comunità religiose. Nelle tremende condizioni della pandemia continuarono la loro lotta senza speranza per l’esistenza e per il diritto di vivere così come avevano vissuto i loro antenati. Tuttavia, i Non-uomini non lasciarono in pace neanche questa misera percentuale della popolazione. Organizzarono una caccia continua ai bambini, a quest’ultima speranza dell’umanità. Invasero il pianeta di “gente cattiva”. All’inizio erano delle imitazioni di uomini, dall’aspetto di zii ridanciani e tutti dipinti, con campanelli tintinnanti e che cantavano allegre canzoncine. I bambini sciocchi li seguivano con gioia e sparivano per sempre nei “bicchieri” d’ambra. Nelle piazze principali apparvero negozi di giocattoli che brillavano nella notte. Il bambino vi entrava e spariva senza lasciar traccia.

— Abbiamo fatto tutto quello che potevamo. Ci siamo armati: negli arsenali abbandonati c’erano molte armi. Insegnammo ai bambini a temere “la gente cattiva”, e poi a spararle contro con il fucile. Distruggemmo le cabine e sparammo contro i negozi di giocattoli, finché non ci rendemmo conto che era più saggio mettere a guardia delle sentinelle che bloccassero i bambini poco accorti sulla soglia. Ma questo fu solo l’inizio… I Non-uomini, con inesauribile inventiva, buttavano alla superficie sempre nuovi tipi di caccia-bambini. Apparvero “i mostri”. È quasi impossibile colpirli quando calano su un bambino. Apparvero gigantesche farfalle a vivaci colori; calavano sul bambino, lo avvolgevano con le ali e sparivano con lui. Queste farfalle non possono essere colpite dalle pallottole. Infine, l’ultima novità: sono apparse delle canaglie che non si distinguono in nulla da un comune combattente. Queste prendono semplicemente per mano il bambino che non sospetta nulla e lo portano con sé. Alcune di loro sanno persino parlare…

— Sappiamo benissimo che non abbiamo praticamente speranza di sopravvivenza. La pandemia non si arresta, e noi all’inizio speravamo proprio in questo. Solo un uomo su centomila non viene contagiato. Ecco, io, per esempio, e Draudan… e ancora un ragazzo. Lo conosco da quando è nato, ora ha diciotto anni e ne dimostra diciotto… Se non lo sapevate ora lo sapete. Se lo sapevate, allora tenete presente che noi capiamo perfettamente la nostra posizione. E siamo pronti ad accettare qualsiasi vostra condizione. Siamo pronti a lavorare per voi, siamo pronti a sottometterci a voi… Qualsiasi condizione, tranne una: curare tutti o nessuno. Niente élite, niente prescelti!

Il vecchio tace, tira a sé il boccale con l’acqua e beve avidamente. Il soldato che sta alla porta si appoggia ora su una gamba ora sull’altra e sbadiglia, coprendosi la bocca con il palmo della mano. A vederlo si direbbe che abbia venticinque anni. Ma in realtà? Tredici? Quindici? Un adolescente…

Siedo immobile, cercando di mantenere un volto impassibile. Inconsciamente mi aspettavo qualcosa del genere, ma quello che ho sentito da un testimone oculare che ha sofferto tutto questo, chissà perché, non mi entra in testa. I fatti che il vecchio mi ha esposto non li metto in dubbio, ma è come in sogno: ogni elemento preso singolarmente ha senso, ma tutti insieme sembrano proprio assurdi. Forse il problema Sta nel fatto che mi turbinava dentro un’idea preconcetta sui Nomadi in carne e ossa, incondizionatamente accettata da noi sulla Terra?

— Come fa a sapere che si tratta di Non-uomini? — chiedo. — Li ha visti? Lei personalmente?

Il vecchio ansima. Ha una faccia terribile.

— Darei metà della mia inutile vita per vedermene davanti almeno uno, — geme con voce rauca. — Ecco, con queste mani… Io stesso… Ma, ovviamente non li ho visti. Sono troppo accorti e vigliacchi… E forse non li ha visti nessuno, eccetto quei maledetti traditori del governo quaranta anni fa… Ma, secondo quanto si dice, non hanno nessuna forma, sono come l’acqua o come il vapore…

— Allora non si capisce, — dico. — Perché degli esseri che non hanno forma debbono attirare alcuni miliardi di persone nel sottosuolo?

— Maledizione! — il vecchio alza la voce. — Sono NON UOMINI! Come possiamo decidere noi due di che cosa abbiano bisogno i Non-uomini? Forse, di schiavi. Forse, di cibo… Forse, di materiale da costruzione per le loro canaglie. Che differenza fa? Hanno distrutto il nostro mondo! E anche ora non ci danno pace, ci avvelenano come topi…

E a questo punto il suo viso si contorce in modo terribile. Con agilità notevole per la sua età scatta verso la parete opposta, facendo rovesciare con rumore lo sgabello. In un batter d’occhio, tiene già con entrambe le mani un grosso revolver nichelato puntato proprio contro di me. I guardiani assonnati si svegliano e, con la stessa espressione di incredulità e di terrore in viso, sembrano all’improvviso proprio dei bambini e, senza perdermi d’occhio, si aggirano disordinatamente alla ricerca delle loro armi.

— Che cosa succede? — chiedo, cercando di non muovermi.

La canna nichelata traballa, e le sentinelle, trovate alla fine le armi, all’unisono riempiono i caricatori.
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